A lungo si è ipotizzato che il quadro conservato a Brindisi sia opera di opera di Simon
Vouet, un pittore manierista francese (Parigi 1590-1649), che ha lavorato a lungo in
Italia. Tra le altre opere, il Vouet ha dipinto per il cardinal Ascanio Filomarino a Napoli
una serie di 12 angeli con i simboli della Passione, dodici mezze figure o quadri da camera, simili per argomento ai particolari dell’affresco, angeli, non più in movimento o svolazzanti, ma statici, ritratti di faccia o di profilo. Di tale serie restano solo 4 angeli, due in Italia nel museo di Capodimonte a Napoli e due in America nell’Institute of Arts a Minneapolis. Per la straordinaria somiglianza con tali quadri superstiti, anche l’Angelo brindisino veniva attribuito al Vouet. In seguito al recente restauro gli studiosi, il professore Lucio Galante, che lo ha pubblicato con ampia documentazione negli Itinerari di ricerca storica dell’Università di Lecce, e il prof. Massimo Guastella hanno rivisto questa prima attribuzione e oggi ritengono che l’opera sia di un autore vicinissimo al Vouet, forse la stessa moglie del pittore, Virginia da Vezzo, artista anche lei. Ammessa all’Accademia di San Luca di lei si conosce un’unica opera la Giuditta con la testa di Oloferne, dove la tipologia di volto femminile, soprattutto per quanto riguarda la parte inferiore del viso, sembra richiamare da vicino quella degli Angeli della Passione attribuiti a Vouet. Infatti, sia nell’Angelo con dadi e tunica di Capodimonte, sia in maggior misura nell’Angelo con la scala della passione di Brindisi, si ritrova la stessa conformazione del volto e fossetta al centro del mento.
La produzione artistica del giovane pittore durante i suoi quindici anni di permanenza in Italia all’inizio del Seicento, è stata minuziosamente studiata ed è ben documentata per le opere più importanti, realizzate a Genova e soprattutto a Roma, ma non i dodici angeli recanti i simboli della Passione di Cristo, tema iconografico di origine medievale, di cui si conoscevano da tempo le due splendide figure del museo di Capodimonte: Angelo con la tunica e i dadi e Angelo con la spugna e la lancia, di cui si conoscono ora due tele, acquistate nel 1969 dal museo di Minneapolis, Angelo con la brocca dell’acqua di Pilato e Angelo con la tabella della Croce, e due quadri in collezione privata: Angelo con la borsa dei trenta denari e il capestro di Giuda e Angelo con la scala della Crocifissione, quest’ultimo del tutto simile all’esemplare di Brindisi. I dipinti furono descritti in modo particolareggiato dall’incisore e critico d’arte Charles-Nicolas Cochin, come presenti nel palazzo Filomarino della Rocca, anche se cinquant’anni prima venivano riportati in un inventario del palazzo Filomarino della Torre, provenienti direttamente dall’eredità del Cardinale Ascanio che quasi sicuramente li aveva avuti da Vouet stesso. Allora si è ipotizzata una seconda serie di angeli o copie.
Il dipinto rappresenta un Angelo femmineo, florido e carnoso con una fossettina sul mento; il gesto elegante della mano sinistra appena accenna ad una mistica meditazione sul sacrificio della croce, con un capo reclino sulla mano destra e il volto pensoso.
Sotto la protezione dei Barberini, Vouet ricevette le prime commissioni: la Natività di Maria (1620) per la chiesa romana di San Francesco a Ripa, la Tentazione di San Francesco (1624) per la cappella Alaleona di San Lorenzo in Lucina, La circoncisione (1618 circa) per la chiesa napoletana di Sant’Angelo a Segno. Poi si occupò anche di ritrattistica e di scene di genere, come La buona ventura (Museo di Ottawa). Tornato a Parigi nel 1627, si mise subito a servizio del suo re e aprì una grande bottega: pale d’altare, storie mitologiche e disegni preparatori per arazzi e decorazioni, commissionate da celebri personaggi come il cardinale Richelieu e Anna d’ Austria. Importante per Brindisi è anche ricordare l’Apoteosi di S. Teodoro, santo protettore della città adriatica, da lui dipinta a Venezia nel 1627 e ora conservata presso la Gemäldegalerie di Dresda.